L’antica esistenza della chiesa è stata confermata dalle evidenze archeologiche emerse durate l’ultimo restauro, completato nel 2000. Le tracce di tombe, di muri perimetrali che delimitano vani forse adibiti a botteghe, di una strada ed infine di ciò che rimane di una prima chiesa, sono oggi visibili sotto il presbiterio. Di fianco all’altare, sulla destra, una botola permette di scendere ed osservare da vicino i resti che sono stati datati, quelli più antichi, al V-VI secolo d.C. e una struttura più tarda medioevale.
Più difficile documentare le ragioni che portarono alla fondazione di questa chiesa. Sappiamo che fu importante, nel tempo, la Confraternita di S. Maria, che la amministrava. Nel XVIII secolo fu utilizzata come parrocchia mentre era in costruzione l’attuale S. Martino. Con le soppressioni napoleoniche rischiava di diventare patrimonio del Demanio, ma l’allora arciprete Ronchetti, dopo una dura battaglia legale, riuscì a dimostrare che la chiesa era parte integrante della parrocchia.
Durante la Prima Guerra Mondiale fu utilizzata da soldati feriti, dopodiché fu trascurata anche se, saltuariamente, era aperta per feste o in preparazione alle Prime Comunioni.
Dopo anni di abbandono, è stata recentemente restaurata e portata all’antico splendore, permettendo così di salvare un patrimonio ricco di storia che appartiene a tutti.
La costruzione
Sono diverse le fasi che portarono la chiesa all’aspetto attuale, una sicuramente nel XIII secolo: nel serraglio della porta principale è riportata la data 1258 (secondo recenti studi 1458). Un documento la cita nel 1396 ed infine, sulla facciata, in alto dove s' incontrano le falde del tetto, oggi è leggibile la data 25 giugno 1465. Ricorda il completamento di lavori iniziati nel 1456 e corrisponde all’ultimo rifacimento importante.
La facciata, semplice e intonacata, è tipica delle chiese del XV secolo, presenta un rosone centrale e due grandi finestre laterali, un portale a sesto acuto in pietra bianca, sopra vi sono la data già ricordata e il monogramma di S. Bernardino. Sulla destra sono visibili tracce di affreschi ormai irrimediabilmente rovinati. In alto, una decorazione corre sotto i due spioventi del tetto.
Lungo i fianchi si notano i materiali usati nella costruzione: ciottoli (borlanti) inseriti a lisca di pesce, e grosse pietre squadrate visibilisolo negli spigoli e alla base.Bella è l’abside coperta dal tetto in tegole sostenuto esternamente da pilastrini in mattoni. Ingressi laterali e finestrelle chiuse ricordano forme e momenti diversi della chiesa.
L’interno
È ad una sola navata. Quattro arcate a sesto acuto la dividono in cinque campate, nell’ultima, separato da due gradini, è collocato il presbiterio. Durante l’ultimo restauro notevole attenzione è stata riservata agli affreschi che ricoprono le pareti laterali e l’abside (si sono scoperti ulteriori dipinti sull’arcosolio). Nel XVII secolo furono fittamente martellinati, per far aderire l’intonaco con cui furono ricoperti, nel tentativo di arginare l’epidemia di peste. Sono presenti pitture prevalentemente votive, di una scuola non ben definita, indicata come di Nembro, con un maestro interessato a motivi gotici e un allievo che prediligeva forme architettoniche fantasiose. Si tratta di artisti minori, che sono al di fuori del grande rinnovamento in corso in città (dove si guarda verso Milano), ma esprimono gli interessi e i gusti delle valli già legate a Venezia. Lavoreranno anche a Mornico al Serio. Altre presenze sono di Scuola bergamasca, della Scuola di Clusone, dei Marinoni, di Giacomo Borlone e Maffiolo da Cazzano, tutti attivi nella seconda metà del ‘400 e nei primi decenni del ‘500.
Entrando, sulla parete sinistra, dopo l’immagine di un animale da soma miracolosamente salvato (forse un ex-voto), troviamo un polittico ad affresco con i Santi eremiti Paolo, Onofrio (?), Giovanni Battista e Gerolamo. La nicchia al centro ricorda la presenza di una statua di S. Antonio Abate, oggi perduta. Anticamente qui vi era l’altare a lui dedicato. L’opera è riconducibile ai Marinoni, una famiglia di artisti di Desenzano d’Albino, che ha lavorato anche in altre chiese di Nembro, quali S. Sebastiano e S. Nicola. Qui troviamo l’intervento di Antonio (documentato dal 1493 al 1547), insieme al fratello Bernardino (documentato dal 1490 al 1533), figli di Giovanni (documentato dal 1457 al 1512). Sotto si intravedono frammenti di figure più antiche. Continuando si possono notare diverse Madonne, una Maria dolce e tenera nel tenere il Figlio e un ramo fiorito (un’immagine identica ma più antica è visibile nella chiesa di S. Sebastiano), Vincenzo, dipinti che si ricollegano ad altri eseguiti sulla parete destra. Notiamo poi un elegante S. Rocco della bottega di Giacomo Borlone.
Di questo artista, documentato dal 1460 al 1487 (a Clusone dipinse l’Oratorio dei Disciplini),è la bella rappresentazione che segue: una Visitazione dove le figure femminili sono espresse con freschezza e una vena più profana e narrativa. Sopra la porta laterale vi è un frammento curioso per la presenza della Trinità nell’Annunciazione: Dio Padre, avvolto da una nuvola e circondato da angioletti, sembra inviare verso Maria un piccolo Gesù e una colomba che rappresenta lo Spirito Santo.
Sono poi visibili altri frammenti di affresco con immagini dei SS. Pietro e Paolo, e una figura di donna colta sulla soglia di un’abitazione nell’attimo in cui si volta ad osservare ciò che avviene.
Di seguito possiamo vedere un’altra Visitazione attribuibile alla bottega di Giovanni Marinoni, in parte rovinata dalla presenza di ciò che rimane dell’organo e un Cristo in Pietà di Maffiolo da Cazzano, documentato dal 1477 al 1514.
Il presbiterio presenta due altari laterali inseriti successivamente, andando così ad intaccare gli affreschi che ora affiorano solo in parte. Sono tra i più antichi e alcuni sono riferibili alla Scuola diNembro come le due Madonne dipinte all’inizio della parete di destra.
Quella nel registro inferiore, senza trono, ha un manto bianco con grandi fiori damascati.
Nell’abside troviamo Maria Assunta tra Angeli, Apostoli, Sibille dipinti, insieme all’Annunciazione sull’arcosolio, dai Marinoni alla fine del quarto decennio del XVI secolo, qui con la presenza di Ambrogio (documentato fino al 1551), l’ultimo e forse il più innovativo di questa bottega.
Originale appare la parete in basso, affrescata come una preziosa tappezzeria.
La parete destra presenta affreschi datati tra il 1466 e il 1472: un trittico con S. Giovanni Evangelista con le ali, insolita iconografia, un Presepe in parte cancellato per la presenza del pulpito oggi rimosso e S. Stefano.
Un S. Sebastiano con devoto, immagine ingenua e dai colori tenui che ritroviamo nella Madonna del latte e San Sebastiano, opere quest’ultime che paiono influenzate dai pittori muranesi come i Vivarini.
Una serie di Madonne del latte e gli interessanti Madonna col Bambino e S. Rocco e due devoti, di scuola clusonese, databili al 1490, dove gli echi di un rinnovamento sono visibili nelle architetture e nel festone rinascimentale che incornicia il trono.
Dopo alcuni anni fu sovrapposta la bella struttura a mensoloni con “occhi”: Padre Eterno, Santi e successivamente Processione della Madonna di Loreto.
Quest’ultima rivela anch’essa forme di rappresentazioni più nuove, i santi che fanno da cornice alla Santa Casa: Caterina, Cristoforo, Martino (?), Lucia, sono elegantemente vestiti e le stoffe ed i loro attributi sono descritti con cura. In basso, un inconsueto dipinto La Vergine salva una nave dal naufragio.
Infine una piccola e ingenua immagine votiva Crocifissione: la Vergine, Gesù, e Santo Vescovo da ricondursi alla bottega dei Marinoni, datata 28 settembre 1521.
Nei piedritti dei pilastri notiamo numerose Madonna col Bambino e Madonna del latte, mentre nella parte inferiore troviamo dei santi, tra i quali i Santi Bernardino, Apollonia e Antonio abate.
Sono tra gli affreschi più antichi, alcuni della Scuola di Nembro, altri di Scuola bergamasca.
La pala posta nell’abside "Maria col Bambino e Santi", opera del 1720, è attribuita a Paolo Zimengoli, pittore veronese. Diverse tele sono visibili in alto lungo le pareti.
La figura di S. Angelo Carmelitano, di autore anonimo del ‘600, è copia da un’opera del Cavagna. Di anonimo del ‘600 è anche la grande pala con S. Carlo Borromeo e Santi.
Dello stesso periodo è l' "Adorazione dei pastori" il cui autore resta anonimo.